martedì 9 febbraio 2010
Non solo Rosarno: in Calabria un'altra integrazione è possibile
Un reportage racconta Riace, la "città del futuro" che accoglie i rifugiati
di Fabio Chiusi Un'altra integrazione è possibile, e a dimostrarlo è proprio la Calabria di Rosarno, degli immigrati nelle baracche fatiscenti, della schiavitù alla 'ndrangheta che ciclicamente si traduce in rivolta e, dopo qualche tempo, ritorna schiavitù. Quelle immagini di guerra, di strade messe a ferro e fuoco dai disperati che abbiamo ancora tutti negli occhi non sono l'unico scenario, l'unica alternativa percorribile. Lo suggerisce un autorevole settimanale straniero, il tedesco Der Spiegel, con un servizio dedicato a Riace, la «città del futuro» che «accoglie i rifugiati a braccia aperte». Riuscendo così a smentire due luoghi comuni: non tutta la Calabria è Rosarno, e non tutti i calabresi si dividono in razzisti e mafiosi.Nell'era in cui si parla di stampa estera soltanto per adularne o smontarne i teoremi denigratori nei confronti dell'Italia di Berlusconi, Juliane von Mittelstaedt racconta come nel caso del paesino della Locride, poco più di 1600 abitanti, il sindaco Domenico Lucano sia riuscito a conciliare integrazione per i rifugiati e opportunità di sviluppo per i nativi, il tutto secondo il semplice motto «i più poveri tra i poveri salveranno Riace e, in cambio, Riace salverà loro». Come? A piccoli passi, intraprendendo un percorso lungo e accidentato, che parte a fine anni Novanta con la richiesta di un mutuo di soli 51 mila euro a una banca etica per fondare l'Associazione Città Futura, e approda oggi a una legge regionale riconosciuta dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, nonché all'erogazione di fondi europei serviti per ristrutturare abitazioni dismesse (destinate ai profughi) e rilanciare il settore edilizio. Nel mezzo, una filosofia semplice ma funzionale: vitto e alloggio, elettricità compresa, in cambio di lavoro e della disponibilità a imparare l'italiano. Sembra miracoloso, ma per oltre duecento persone, destinate altrimenti a passare l'inferno dei centri accoglienza, ha funzionato. E ora i turisti accorrono per comprare i prodotti artigianali degli immigrati, oltre che per visitare il luogo di ritrovamento dei famosi bronzi - il tutto soggiornando in edifici ristrutturati da curdi, eritrei e somali. I cui figli, oltre a parlare calabrese, hanno permesso al sistema scolastico locale di sopravvivere al dimezzamento della popolazione autoctona, emigrata in massa negli ultimi anni in cerca di fortuna. Che si tratti di un modello esportabile o meno, questa storia vale la pena di essere raccontata. Prima di tutto perché parla di un'Italia ignorata dai media (a parte un servizio di Panorama, una intervista di Radio Radicale e poco altro), ma che esiste. Un'Italia che pensa che alla "tolleranza zero" sia più utile e umano sostituire l'accoglienza e l'integrazione; che riesce a vedere nella crisi una opportunità, piuttosto che la rassegnazione o le ragioni dell'intolleranza. In secondo luogo, perché mostra concretamente come la buona politica travalichi etichette e colori: il "modello Riace", promosso da un sindaco dichiaratamente "di sinistra", è stato infatti adottato anche dal vicino paese di Stigliano, retto invece dal centrodestra, e senza nessuno scandalo. A perderci, in sostanza, è soltanto una categoria di soggetti, che vorremmo (questa sì) ben separata e identificabile: la mafia. Che non può più cannibalizzare le vite dei disperati come ha fatto e, lo ricorda RaiNews24, continua a fare a Rosarno. Ed ecco gli uomini d'onore sparare colpi di avvertimento, e avvelenare i tre cani del sindaco Lucano. Un segnale forte d'insofferenza e insieme impotenza che dovrebbe farci riflettere sui risultati che si possono ottenere con la forza delle proprie idee e la tenacia che serve per tradurle in fatti. Anche nel cuore della 'ndrangheta, anche nel cuore del disastro.
9 febbraio 2010
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