lunedì 22 febbraio 2010
Ermira, la prima toga albanese «Sono felice, qui ce l’ho fatta»
La storia - La madre arrivò in Veneto con i barconi negli anni ’90, lei voleva fare l’insegnante ma cambiò idea durante le odissee per il permesso di soggiorno
E’ patrocinante legale a Treviso: «Attendo di diventare avvocato»
TREVISO — «Ero in fila fuori dalla questura, schiacciata fra le transenne e la gente ammassata. Eravamo in tanti lì all’ufficio immigrazione, cercavamo risposte che non arrivavano. Chi non capiva la lingua, chi doveva tornare tre, quattro, cinque volte. In quel momento decisi che da grande avrei fatto l’avvocato. "Aiuterò queste persone" dissi, ed eccomi qui». Non un sogno dell’adolescenza quello di Ermira Zhuri che a 15 anni, appena arrivata in Italia, voleva studiare per diventare insegnante. «Ma gli anni delle scuole superiori mi hanno fatto cambiare idea. Non mi piaceva come in Italia venivano trattati gli insegnanti, troppo spesso con poco rispetto ». Oggi che di anni ne ha 33 è una determinata patrocinante legale. Si occupa di diritto dell’immigrazione. Fu lei, nel 2005, come conferma il presidente degli avvocati di Treviso Paolo De Girolami, la prima extracomunitaria a iscriversi all’Ordine. «La prima in Veneto - arrossisce - ora mi manca l’ultimo tassello, sto aspettando l’esito dell’esame di Stato, e poi sarò avvocato a tutti gli effetti».
Perseguitata dal regime comunista, la mamma di Ermira si imbarca per l’Italia nei primi anni Novanta. Gli anni dei barconi che traboccanti di persone attraversavano l’Adriatico spinti dalla speranza. Ermira la raggiungerà due anni più tardi. «Ho fatto le magistrali e poi l’università di Giurisprudenza a Bologna. Mi sono mantenuta lavorando in pizzeria nei weekend e con le borse di studio. Ce l’ho fatta, sono felice ». Ermira adora Treviso, quella città della Lega e di Gentilini che più di ogni altra, negli anni Novanta, dava la possibilità di ricominciare offrendo posti di lavoro in quantità. «Il vicesindaco ha saputo fare bene il suo lavoro. Però non nego che certi messaggi mi hanno fatto star male. Boutade politiche per lo più, però potenzialmente pericolose perchè generano paure nella gente. Anni fa feci un piccolo incidente in auto: scesa per fare la constatazione amichevole tirai fuori il permesso di soggiorno. L’altra automoblista allora si mise a urlare, voleva chiamare la polizia».
Mai vittima di discriminazioni? «No, i trevigiani non sono razzisti. Mi fanno star male espressioni del tipo "oggi sono vestita male, mi sento un’albanese" oppure "è un extracomunitario" come fosse una persona di seconda categoria. Capisco però la rabbia di chi subisce un furto: anch’io sono stata derubata e ci sono rimasta male. Ma è necessario affidarsi alla giustizia». Però le carceri sono piene di stranieri e la ferita di Gorgo è ancora viva. «Gli stranieri che delinquono danneggiano tutti i loro connazionali. E’ giusto punire severamente chi si macchia di questi crimini orrendi. Io dopo Gorgo ho avuto paura due volte: subito dopo il massacro con i responsabili in libertà e, successivamente, quando sono stati presi. Ho pensato come albanese di venire emarginata, invece no, chi mi conosce mi vuole bene. Questo è il punto: non si può generalizzare. Il delinquente non ha nazionalità e in genere non è clandestino».
Perchè allora tanti detenuti stranieri? «Penso che sia una conseguenza della mancata integrazione: se sei invisibile è più facile entrare in contatto con persone sbagliate». Cosa serve davvero a una piena integrazione? «Più che l’impronta, servirebbe un corso obbligatorio di lingua italiana e di educazione civica. In Albania ad esempio sputare per terra è normale, qui è segno di maleducazione ma lo straniero non lo sa». Ma Ermira Zhuri, ottenuta la cittadinanza nel 2008, si sente più italiana o albanese? «Sono una cittadina italiana di origini albanesi. La mia vita è tutta qui, in Albania non avrei mai avuto tutte le opportunità che questo Paese mi ha offerto».
Valentina Dal Zilio
22 febbraio 2010
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