martedì 2 febbraio 2010
La politica come azienda di famiglia, Povera Italia!
La Lega candida Renzo BossiIl figlio di Umberto in corsa come consigliere in Lombardia
MICHELE BRAMBILLA
MILANO
Nel Paese dei «figli di» è venuto il momento di Renzo Bossi, secondogenito di Umberto. Sarà candidato alle prossime regionali - nella Lega, ça va sans dire - a Brescia. Il viceministro Roberto Castelli, consapevole delle maldicenze che accompagneranno l’entrata in politica del giovane Renzo, s’è premurato di precisare: «Niente a che vedere con altre candidature di figli, mogli o parenti vari che sono stati inseriti in liste bloccate, con la certezza di essere eletti. Il figlio di Umberto Bossi dovrà affrontare la campagna elettorale e ottenere le preferenze sufficienti. Credo che sia, per un ragazzo di ventun anni, un atto di coraggio di fronte al quale mi tolgo tanto di cappello».
La precisazione era doverosa anche perché nei giorni scorsi erano circolate voci su un possibile inserimento di Renzo Bossi nel cosiddetto «listino bloccato» di Roberto Formigoni, il che avrebbe assicurato un posto certo addirittura in giunta, si diceva come assessore allo Sport. Voci che il segretario della Lega lombarda Giancarlo Giorgetti s’era affrettato a smentire. «Le solite calunnie contro il povero Renzo, messe in giro per attaccare Umberto», avevano detto alla Lega.
In effetti, almeno finora, l’essere figlio di tanto padre ha procurato a Renzo Bossi più danni che benefici. Ogni sua stupidata (e «a vent’anni si è stupidi davvero», come cantava Guccini) è finita sotto i riflettori. Le bocciature, ad esempio. Quanti ragazzi vengono bocciati: ma i loro nomi mica vanno sui giornali. È vero che alla maturità Bossi junior è stato bocciato non una ma tre volte (passando poi al quarto tentativo, l’anno scorso, con un 69/100): però non deve far piacere tanta pubblicità. E poi quella faccenda del videogioco «Rimbalza il clandestino», messo come link alle pagine della Lega su Facebook. Quel gioco, che permetteva di ributtare a mare i barconi degli immigrati con un semplice clic, stava in rete proprio nei giorni in cui 73 eritrei erano finiti inghiottiti nel canale di Sicilia. L’Arci aveva denunciato il giovane Bossi per istigazione all’odio razziale. Renzo aveva affidato la sua difesa al padre: «È stato accusato di aver creato il gioco ma lui non c’entra, era in Francia». E poi quelle altre voci, smentite pure quelle, su un compenso da 12.000 euro al mese per un incarico in un consiglio di amministrazione in vista dell’Expo milanese. «Anche un idiota capirebbe che si tratta di fandonie», aveva chiosato La Padania.
È che è dura la vita dei figli di uomini illustri. Anche se non combini sciocchezze, il confronto con papà ti schiaccia. «I grandi uomini non dovrebbero mai generare perché sono come le querce, all’ombra delle quali non crescono altre querce, ma solo cespugli», diceva Montanelli, che infatti non generò. Bossi, che non è uno sprovveduto e certe cose le intuisce, ha sempre difeso e sostenuto il figlio, ma non gli ha neppure risparmiato qualche frecciata. Come quella che fece il giorno in cui lo presentò al popolo della Lega: «Mio figlio un delfino? Per il momento è soltanto una trota».
Ora la trota dovrà cercare di nuotare senza salvagente. Che cosa dirà per convincere i bresciani a votarlo, lo sentiremo. Per ora - essendo marcato stretto dai vertici del partito - di politica ha espresso solo alcuni concetti: «Mi sento padano, il tricolore per me non rappresenta una cosa importante, l’Italia è un Paese dove a un certo punto è arrivato un potere che ha detto: da oggi siete tutti italiani»; «Di Roma non me ne frega nulla, mi interessa il territorio»; «Io il conto non ce l’ho in un grande gruppo, bensì nella Banca di credito cooperativo di Busto Garolfo e Buguggiate, perché è più facile avere un rapporto diretto». E infine: «Non sarò mai io a chiedere di essere candidato, ma se un giorno il capo, per le mie competenze, me lo chiederà, sono pronto». Le sue competenze, per adesso, riguardano la nazionale padana di calcio, nella quale vorrebbe Inzaghi. Per il capo, che incidentalmente è anche il babbo, sono sufficienti.
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