mercoledì 24 febbraio 2010
Immigrazione, in Italia accanto a Rosarno c'è il buon esempio di Riace
di Stephan Faris 24 Febbraio 2010
E’ da migliaia di anni che l’Europa è meta di emigranti. I primi esseri umani – i primi veri emigranti – si spostarono a nord partendo dall’Africa e attraversando il Medio Oriente. Sin da quei lontanissimi tempi, periodiche ondate migratorie hanno costituito un fattore primario nel ridefinire la popolazione e la cultura del vecchio continente.
Dopo la Seconda guerra mondiale, l’emigrazione si è diretta soprattutto verso il nord Europa, ma negli ultimi tempi, grazie allo sviluppo economico vissuto negli ultimi vent’anni, è stata soprattutto la fascia meridionale del continente ad attirare un numero crescente di persone, in cerca di una vita migliore. Alla metà degli anni Duemila, gli emigranti diretti al sud dell’Europa costituivano il 60% sul totale dei nuovi arrivi. Hanno battuto i martelli del boom edilizio spagnolo, hanno cambiato i pannolini ai neonati greci e hanno sudato nei campi italiani.
La crisi economica ne rallenterà la crescita, ma difficilmente bloccherà questo spostamento demografico, soprattutto perché il rateo di nascita tra gli immigrati è ben più alto di quello del resto della popolazione. “Se c’è una lezione che può essere appresa dall’esperienza in Europa settentrionale, è che gli immigrati temporanei tendono a restare” dice Joaquín Arango, professore di sociologia all’Università Complutense di Madrid. Ed ecco un’altra lezione: quando una società ghettizza i suoi nuovi membri, arrivano i guai. L’Europa meridionale ha bisogno dei suoi immigrati. Adesso ha bisogno di trovar loro un posto. TIME getta uno sguardo a tre paesi che stanno iniziando a rendersi conto di questo fatto.
Il Caso Italia. Quando, lo scorso mese, a Rosarno è esplosa la protesta di centinaia di immigrati africani, il mondo ha potuto vedere per un breve istante un’immagine dell’Italia assai diversa da quella offerta dalle guide turistiche. Automobili ribaltate, vetrine infrante e guerriglia urbana sono l’antitesi del classico paesino toscano quieto e pittoresco, adagiato sulle dolci colline del Chianti. Ma c’è un’altra contraddizione, ben più importante, evidenziata da quello scoppio di violenza, che c’entra pochissimo con la percezione dell’Italia all’estero, ma moltissimo con il modo in cui gli italiani vedono il loro paese. Come nazione, l’Italia sta diventando sempre più multietnica, a causa degli immigrati di Africa, Cina, Europa dell’est e Medio Oriente che arrivano per svolgere quei lavori che gli italiani non vogliono più fare. Ma la società italiana si sta dimostrando molto lenta nel riconoscere questo cambio.
Demograficamente, l’Italia si sta trasformando più velocemente che qualsiasi altro paese europeo. Lo scorso anno, secondo quanto riferito dall’associazione di beneficenza cattolica Caritas, la percentuale di residenti privi di cittadinanza nella penisola era arrivata al 7,2%, più alta che in Gran Bretagna. Il dato non tiene conto di coloro che risiedono in Italia illegalmente, il cui numero si stima attorno al mezzo milione. In una nazione dove la popolazione autoctona sta invecchiando rapidamente, un bambino su sei tra quelli nati nel 2008 ha almeno un genitore di passaporto straniero. La dolce vita (in italiano nel testo, ndt), per di più, sta diventando sempre più dipendente dal lavoro dagli immigrati. L’Organizzazione internazionale per l’emigrazione (OIE) stima che i lavoratori stranieri contribuiscano al 9% del Pil italiano. Raccolgono frutta e verdura nelle campagne, forniscono la manodopera nei ristoranti e nelle fabbriche, accudiscono i bambini e gli anziani. “Se tutti gli immigrati smettessero di lavorare, l’economia italiana crollerebbe” afferma Flavio Di Giacomo, portavoce della OIE.
Ma l’Italia resta aggrappata alle sue abitudini. Rigidi codici di comportamento governano qualunque cosa, dal modo di vestirsi alla scelta del momento giusto per gustarsi un cappuccino. Lungi dall’essere un “melting pot”, l’Italia persiste nella tradizione dei tre pasti al giorno, con la pasta rigorosamente separata dagli antipasti e dal secondo e nessuna considerazione per piatti come humus o involtini primavera. “La gente adesso accetta la presenza degli immigrati – commenta Giuseppe Sciortino, professore di sociologia all’università di Trento – ma continua a negare che si tratti di un fenomeno che cambierà per sempre l’Italia”.
In alcuni posti, la negazione si sta trasformando in rabbia. La rivolta di Rosarno è scoppiata il 7 gennaio, dopo che due immigrati furono colpiti da proiettili di pellet sparati da bianchi. Gli immigrati della città reagirono dando al fuoco automobili e danneggiando negozi, scatenando la rappresaglia dei residenti. “E’ razzismo contro i neri” dice Yakuba Camara, 25enne della Nuova Guinea, una delle prime vittime degli scontri: “Non ho fatto niente, e mi hanno sparato”. Al termine di quel fine settimana, quasi settanta persone – per la maggior parte lavoratori immigrati – erano rimaste ferite. Il Papa esortò alla solidarietà e il governo evacuò un migliaio di immigrati nelle città circostanti, per salvaguardarne l’incolumità.
La zona della Calabria in cui è situata Rosarno si trova sulla punta della penisola italiana. Gli immigrati stagionali – provenienti per lo più da Africa ed Europa dell’est – da tempo lavorano negli agrumeti della regione. Le ore sono tante, le paghe sono spesso inferiori ai trenta euro al giorno. Quando Fabrizio Gatti, un giornalista del periodico L’Espresso, si camuffò da immigrato, nel 2006, rivelò un mondo in cui i maltrattamenti e lo sfruttamento sono la norma. “Nessun contratto, nessun diritto – spiega Gatti; – e così, se non ti pagano, non puoi denunciare la cosa alla polizia”.
L’associazione internazionale Medici senza frontiere in genere opera in zona di guerra, ed è per quello che è famosa nel mondo, ma ha ritenuto le condizioni di quei lavoratori cattive a tal punto da aprire un centro medico tra le fabbriche abbandonate, prive di acqua e di servizi sanitari, in cui vivono gli immigrati. “E’ una popolazione cui non viene dedicata alcuna attenzione, sono vittime di sfruttamento e violenza – dice Sophie Baylac, coordinatrice del programma europeo d’immigrazione di Msf. – Questa situazione... è sintomatica della perdurante trascuratezza che viene riservata ai migranti stagionali”.
Nonostante tale trascuratezza, o forse proprio per questo, l’immigrazione è diventata, in Italia, un argomento scottante. Secondo un sondaggio fatto l’anno scorso, il 69% della popolazione la indica come una delle massime priorità; nel resto d’Europa, il problema è assai meno sentito. Fino ad ora, il tema è stato monopolizzato dalla Lega Nord, partito dichiaratamente contro l’immigrazione, che ha mietuto consensi ponendo l’accento sugli sbarchi di clandestini e sul legame tra stranieri e criminalità. Grazie al sostanziale silenzio della sinistra, molti elettori hanno visto nella retorica della Lega Nord l’unico serio tentativo di affrontare il problema. “La paura verso gli immigrati non è stata instillata dalla Lega – dice Giancarlo Giorgetti, parlamentare della Lega. – Siamo lo specchio della società italiana. E’ nella cultura di questo paese isolarsi dal mondo esterno”.
La scorsa estate, il governo italiano – nel quale la Lega Nord gioca un ruolo determinante – ha introdotto il reato di immigrazione clandestina, triplicando il periodo (fino a sei mesi) durante il quale un immigrato può essere tenuto in carcere prima dell’espulsione. In gennaio, ha annunciato che porrà un limite del 30% al numero di studenti stranieri nelle scuole e nelle università.
Eppure queste politiche affrontano solo una parte del problema, e ignorano il fatto che gli immigranti adesso giocano un ruolo importante nell’economia italiana. Agli italiani non piace essere definiti razzisti, ma sarebbe difficile trovare un residente dalla pelle scura che sia d’accordo. Sono molti gli atteggiamenti che la nazione farebbe bene a mutare, cominciando a cambiare impostazione per quanto riguarda l’accoglienza degli immigrati: attualmente si tende a respingerli, bisognerebbe trovare il modo di integrarli. “Stiamo creando un gruppo di persone segregate, che reagiranno come hanno sempre reagito tutte le persone segregate” dice Sciortino.
Si prenda la risposta ufficiale alle violenze di Rosarno, che è suonata tristemente familiare. Il ministro dell’Interno Roberto Maroni, esponente di spicco della Lega Nord, ha dato la colpa di quanto accaduto al lassismo che esisterebbe nei rapporti con i lavoratori irregolari. “Per anni – ha detto – l’immigrazione illegale è stata tollerata, e non si è fatto niente di efficace contro di essa”. Non importa che, secondo la OIE, almeno la metà dei lavoratori evacuati da Rosarno, ora detenuti in centri di prima accoglienza, possegga documenti di lavoro. Quando alcune associazioni vicine a queste problematiche hanno ventilato la possibilità di uno sciopero degli immigrati per il primo di marzo, Maroni ha risposto che verrà arrestato ed espulso ogni irregolare che, quel giorno, venga trovato per strada.
Esiste, però, anche un’altra via. Domenico Lucano, sindaco di Riace, paesino a 60 chilometri a est di Rosarno, sull’altro versante delle aspre montagne della Sila, si è offerto di ospitare gran parte di quegli immigrati. “Ciò che è accaduto a Rosarno ci ha lasciati senza parole – ha detto. – Un pezzo di carta non può essere la differenza tra essere un uomo e non esserlo”.
Riace — un grappolo di casette fatte di mattoni e tegole che affaccia sul Mar Ionio – ha speso gli ultimi dieci anni cercando immigranti, nel tentativo di trovare nuova linfa vitale. Dieci anni fa, il piccolo paese, sito in una delle zone più depresse d’Italia, si stava rapidamente spopolando. Le case restavano vuote, le attività commerciali faticavano ad andare avanti. “Riace stava morendo – racconta Antonio Chillino, un macellaio del paese – i giovani se ne andavano. Cominciammo a chiederci: e ora? Chiudiamo e ce ne andiamo anche noi?”.
Fu allora che Lucano, eletto sindaco nel 2004, cominciò a reclutare nuovi residenti, avvantaggiandosi di un programma d’integrazione governativo rivolto ai rifugiati passati attraverso i centri di prima accoglienza italiani. “Un luogo di case senza abitanti si è incontrato con un gruppo di persone senza casa”, racconta il sindaco. Riace ospita adesso più di 40 immigrati con le loro famiglie, e lo scorso mese, insieme a due comunità limitrofe, ha iniziato ad accogliere 180 palestinesi provenienti da un campo profughi sul confine tra Siria e Iraq. “La gente qui capisce che i rifugiati possono essere una risorsa e non una minaccia – commenta Cosimo Curiale, che cura il programma per l’immigrazione del comune. – Con l’arrivo degli immigrati sono arrivati i bambini, che hanno salvato la scuola. Gli insegnanti vengono assunti. I macellai lavorano di più, così come i fornai e i tabaccai”.
Sfortunatamente, Riace resta un’eccezione. E anche se le vie ghiaiose risuonano del vociare dei bambini, il progetto di Lucano è lungi dall’essere sostenibile. Si basa sui fondi inviati dal governo per dare sostentamento ai nuovi residenti. Hanno cominciato ad arrivare le vittime delle violenze di Rosarno (“Se trovo un lavoro, mi fermo” dice uno di loro), ma il paese difficilmente ne accoglierà più di mezza dozzina, o riceverà fondi per mantenerli. Nel frattempo, la vecchia fabbrica conserviera di Rosarno, in cui diverse centinaia di immigrati avevano trovato una precaria sistemazione, è stata abbandonata. Macchie scure appena fuori i cancelli segnano i posti dove sono state appiccate le fiamme. Dentro i capannoni, i vestiti pendono dai macchinari. Un paio di polli razzolano sul pavimento in cemento. Resta qualche segno della comunità che popolava quel luogo – sedie in circolo, come se dovesse tenersi una riunione. Una stanza, i muri coperti da poster di Gesù, appare come se fosse stata sistemata per fungere da chiesa.
Nei frutteti vicini, immigrati nordafricani ed est-europei raccolgono frutta, praticamente nelle stesse condizioni della gente che hanno sostituito. E, conferma Despina Ivasenco, avvocato che difende gli immigranti di Rosarno, alcuni degli originali lavoratori africani sono già tornati: “La raccolta delle arance continua”. Con circa un quarto del Pil italiano proveniente dal sommerso, l’immigrazione illegale è virtualmente impossibile da controllare. “E molto difficile intervenire con decisione – spiega Sciortino – perché significherebbe intervenire con decisione su una struttura portante dell’economia italiana”. (Fine della prima puntata. Continua...)
Tratto da TIME
Traduzione di Enrico De Simone
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