martedì 26 maggio 2009
Eritrea, dove l’acqua costa 30mila euro di Monica Genovese
Il Reporter: Racontare oltre il confine
Oltre centodiciassettemila chilometri quadrati di estensione territoriale. Più di quattro milioni e trecento mila abitanti e soli dieci litri di acqua al giorno pro capite, rispetto ai cinquanta stabiliti, come essenziale alla sopravvivenza, dall’Oms, Organizzazione Mondiale della Sanità.
E’ l’Eritrea. Paese del Corno d’Africa. Terra che si affaccia sul Mar Rosso. Ex colonia italiana nei primi anni del Novecento.
L’Eritrea vive, insieme al resto dell’Africa, un incubo di nome acqua, ovvero mancanza di acqua.
Non è certo una novità, ma quello che, invece rappresenta un fatto del tutto nuovo fonda le sue radici in Piemonte e in uno dei suoi prodotti più apprezzati ed esportati. Il vino.
Attraverso il vino, per dissetare uno o più villaggi africani, bastano sessanta giorni e trentamila euro.
L’associazione “Acqua per la Vita onlus”, nata nel settembre del 2004 nella zona cuneese di Alba, si interessa della realizzazione di pozzi in Eritrea.
Oggi, l’associazione, grazie al ricavato della vendita di pregiati vini piemontesi, mette in moto un progetto per lo sfruttamento delle falde acquifere eritree a fini agricoli ed alimentari.
Non si tratta di consegnare denaro all’Eritrea, ma di insegnare la coltivazione dei terreni e una professione agli africani. Il programma di lavoro è collaudato ed efficace.
L’obiettivo è la facilitazione dell’approvvigionamento dell’acqua che, attraverso la trivellazione di un pozzo, il posizionamento di una pompa sommersa, di un generatore e di un sistema di distribuzione, consenta di attingere acqua direttamente da fontane al centro dei villaggi.
La prima fase della costruzione di un pozzo, una volta disponibili i fondi e ottenuti i permessi dalle locali autorità, coinvolge attivamente gli abitanti della zona in cui si realizza l’opera.
La partecipazione è, sia in termini di forza lavoro, ovvero risorse umane, sia di materiale per la costruzione, dalle pietre alla sabbia. E, a proposito di risorse umane, serve un piccolo team di professionisti.
Un geologo per l’individuazione della falda acquifera. Un muratore e due operai. Un elettricista e un aiutante, un idraulico, cinque manovali e un operatore per l’escavatore.
In merito al materiale: una trivella, una pompa sommersa per il drenaggio delle acque, una cisterna in lamiera, un escavatore, un tubo di polietilene lungo circa due chilometri, un generatore elettrico, un equipaggiamento per il test di pompaggio con generatore su ruote.
E ancora, un quadro elettrico per valutare la quantità di acqua trovata, il materiale per la struttura e la distribuzione di questa, come una cassetta di protezione del pozzo, una casa del generatore e del quadro elettrico, alcuni gruppi di fontane, un basamento della cisterna e un abbeveratoio per gli animali.
Alla fine, la manutenzione ordinaria del pozzo è sempre affidata ad un meccanico del villaggio e ogni tre anni si effettua quella straordinaria.
Viene poi istituito un Comitato del Pozzo che, insieme agli abitanti del villaggio, ne sovrintende la gestione quotidiana, coinvolgendo anche la locale Don Bosco Technical School di Dekemhare, sull’altopiano centrale eritreo.
Una volta soddisfatto il fabbisogno giornaliero per il villaggio, l’acqua può anche essere venduta, ad un prezzo equo, ai villaggi vicini, in modo tale da coprire le spese per la gestione del pozzo, come il gasolio, l’olio-motore, la batteria, i vari filtri, il salario del meccanico.
E’ il Comitato che se ne occupa. Già dai primi rilievi sul territorio è stata determinata la profondità degli scavi per individuare acqua pulita. Quarantacinque, sessanta metri al massimo.
Numeri che insieme agli altri, vale a dire ai trentamila per il costo del pozzo, ai sessanta per i giorni di attività, si riassumono in una parola. Acqua.
I lavori, ormai sono avviati e in una fase avanzata, pertanto, fra non molto, uno dei numerosi villaggi eritrei potrà finalmente bere, senza dover percorrere chilometri da mattina a sera, in mezzo alla boscaglia, per cercare un po’ di acqua in qualche pozzanghera impura.
E uno dei maggiori rischi derivanti dall’uso dell’acqua delle pozzanghere è rappresentato dalla bilarzia e dalla giardia, gravi malattie provocate da parassiti intestinali.
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