martedì 26 maggio 2009
Libri 26.05.2009 Dancalia, la Terra del Diavolo di Monica Genovese
Il Reporter: Racontare oltre il confine
“Quante volte ho guardato sulla carta geografica quella terra impenetrabile e misteriosa che si affaccia sulla costa del Mar Rosso. Quanto ho vagato con la fantasia dentro quel triangolo che va dalla penisola di Buri, in Eritrea, fino a Gibuti e, nell’entroterra, dalle propaggini dell’altopiano etiopico, a ovest, a quello somalo a est. Circa 150 mila km quadrati di superficie, all’interno della quale si estende la Depressione Dancala: un’immensa bassura che sprofonda… fino a 120 metri sotto il livello del mare”. Parole di Antonio Biral, detto il Cobra, scrittore di “Dancalia, la Terra del Diavolo”.
Parole che imprime nella memoria e nel cuore di ogni lettore. Questo libro, infatti, raccontato con semplicità e dovizia di particolari, è un diario di viaggio e, al tempo stesso, un tributo al desiderio umano di esplorare, di scoprire, di avventurarsi nei remoti anfratti del pianeta per carpirne i segreti, per dissetarsi alla fonte dei suoi misteri. La Terra è ancora inesplorata e i suoi abitanti hanno voglia di conoscerla.
Solo alcuni uomini e donne ardono dentro quando aprono una mappa geografica e solo alcuni riescono a trasferirsi da un pomeriggio in città, seduti alla loro scrivania a sognare terre lontane, a calpestare realmente il suolo di tali terre. E il Cobra è un viaggiatore. Uno di quelli che viaggia consapevolmente, affrontando situazioni estreme e pericolose, non per mostra di se, ma per quel fuoco che avvampa l’anima e che spinge al movimento.
Il viaggio è il moto dell’anima e l’anima non può restare ferma. La sua descrizione della Dancalia è viva. Passo dopo passo, frase dopo frase, il lettore è lì, insieme al Cobra e alla sua spedizione e percorre la terra del diavolo dove il caldo è torrido, dove scarsi sono i popoli nomadi, dove l’acqua è un lusso e dove pochissime persone si addentrano nella pancia del pianeta. Inaccessibile Dancalia.
Sulla scia di Ludovico Nesbitt, esploratore inglese di madre italiana, che nel 1928 si reca in Dancalia, Biral conduce tutti in un luogo lontano dal mondo. Paesaggi, tribù locali, nomi di città sconosciute, ansie, dubbi, timori. In queste sue pagine la geografia si tramuta in quotidianità. Sembra di toccare l’arida terra dancala. Le emozioni trasmesse sono forti, onnipresenti dalla prima pagina all’ultima, soprattutto quando Biral narra del rapimento che, nel 1995, lui e i suoi amici subiscono per mano di popolazioni del posto.
E’ una lettura in cui il fiato si sospende per riprendere in maniera spontanea solo a pericolo cessato. A corredo del libro, numerose foto mostrano una parte del mistero. Attento conoscitore dell’Africa, il Cobra risponde a quanti gli suggeriscono di recarsi in località vacanziere “comuni”, piuttosto che in capo al mondo dove il rischio della morte non è poi così impensabile.
Gli esseri umani hanno necessità varie e disparate, ma ciò che accomuna molti, nonostante vivano in periodi storici e luoghi diversi, è il bisogno di esplorare e di raccontare. Un bisogno atavico, inarrestabile a cui si cede sempre e comunque perché è un richiamo dell’anima al corpo. Il viaggiatore è solo il mezzo. Il viaggio è l’unico e vero protagonista.
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