giovedì 21 maggio 2009
Immigrati, Tettamanzi: «Oltre la paura e l'emergenza, serve un progetto»
L'arcivescovo di Milano su Raitre: «Ieri i migranti eravamo noi. Dobbiamo essere più coraggiosi»
MILANO - Anche gli italiani sono stati in passato dalla parte della costa dove partivano i barconi, e la politica non può oggi farsi condizionare dalla paura dello straniero. Lo ha detto l'arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, rispondendo alle domande di Fabio Fazio durante lo speciale di «Che tempo che fa», in onda mercoledì su Raitre alle 21.10. Una delle prima domande del conduttore è stata sugli immigrati e sul diritto di ciascuno di essere da una parte o dall'altra del mondo. «Dobbiamo onorare la memoria del passato non per essere nostalgici, ma per essere più coraggiosi nell'affrontare il futuro che ciò vedrà, penso, molto più impegnati in un confronto inter-etnico, inter-culturale, inter-religioso».
EMERGENZA E PROGETTUALITA' - «Penso che, soprattutto la politica, debba senz'altro interessarsi del momento, certo più difficile e delicato dell'emergenza, ma ad essa non può arrestarsi - ha aggiunto il cardinale -. La politica deve partire da progetti grandiosi, e soltanto in questo quadro è possibile allora attivare le diverse forze sociali, culturali istituzionali, di volontariato, religiose, perchè solo in un quadro progettuale è possibile risolvere anche il momento puntuale dell'emergenza».
LE DOGLIE DEL PARTO - «L'emergenza si accompagna con la paura - ha detto ancora Tettamanzi -. E la paura non è la consigliera più saggia per affrontare il problema nella sua ampiezza e nella sua profondità». Il cardinale, per meglio chiarire il concetto, ha usato una metafora: «Dobbiamo pensare a queste sofferenze attuali con analogia alle doglie del parto. C’è un momento di estrema sofferenza, ma è una sofferenza che chiede di guardare più avanti, di guardare al domani, alla vita. Se noi affrontiamo la sofferenza di oggi come uno stimolo non soltanto per risolvere i problemi contingenti, immediati, complicati, ma elaborando un progetto».
SEGNI DI SPERANZA - Secondo Tettamanzi, dalle sofferenze di oggi potrebbe uscire una società più compatta e coesa. «Questo domani io lo intravedo già perché semi e frutti di speranza già ci sono - ha detto -. Penso ai bambini e ai ragazzi che nella scuola si trovano naturalmente amici tra loro, è un segnale che gli adulti dovrebbero considerare con molta più attenzione, ricaricandosi di fiducia». Rispondendo ad una domanda sul dialogo tra religioni, Tettamanzi ha ribadito che «la libertà religiosa è uno di qui valori essenziali, fondamentali che sono di aiuto, di stimolo, di dialogo. La libertà religiosa è antidoto all'aggressività, che è sempre anti evangelica e contro la razionalità, è segno di mancanza di sincerità nel rapporto».
CRISI: RIMETTERE L'UOMO AL CENTRO - Affrontando il tema della crisi economica, il cardinale ha commentato: «Personalmente ritengo che esiste una regola delle regole e una governance delle governance. Perché la regola, in ultima analisi, è una sola, ed è la persona, la dignità della persona, i valori e le esigenze della persona. C'è solo un principio che dobbiamo onorare con fatica, e questo principio è il rimettere al centro l'uomo, la sua dignità. Potrei dire che bisogna avere il coraggio di parlare dell'etica. Dove l'etica non è qualcosa che blocca, o frena, o ostacola, ma al contrario qualcosa che libera, perché ci dà la possibilità di affrontare tutto e sempre in chiave umana e umanizzante».
INVITO ALLA SOBRIETA' - In riferimento alla dottrina sociale della Chiesa, il cardinale Tettamanzi ha lanciato un richiamo forte: «La comunità cristiana può e deve diventare molto più sobria. Ogni comunità cristiana, a cominciare da quella più piccola. Ritengo che solo nella sobrietà è possibile mostrare uno dei volti più belli e più necessari oggi della Chiesa, e cioè il volto di una Chiesa che agisce come il Signore Gesù, che si identifica in tutte le persone, ma in maniera privilegiata nella persona povera, bisognosa, dimenticata, emarginata, disperata». Tettamanzi ha proposto una sorta di nuovo comandamento: «Non nominare il nome di cristiano invano». Così lo spiega: «Non si tratta di nominare un nome, si tratta di viverne il contenuto, il significato, la bellezza. In questo senso mi pare si possa stabilire una perfetta corrispondenza tra il comandamento che riguarda Dio e il comandamento che riguarda chi da Dio ha ricevuto la fede, cioè il cristiano».
20 maggio 2009
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