domenica 10 maggio 2009
Già condannati dall’Europa per quei rimpatri forzati
Era già successo cinque anni fa, a partire dall’ottobre del 2004 e fino al 17 marzo del 2005. Quel giorno, per decongestionare Lampedusa, il governo (presidente del Consiglio Berlusconi, ministro dell’Interno Pisanu) aveva autorizzato il rimpatrio forzato in Libia di 180 cittadini stranieri. L’operazione era stata subito denunciata dall’Alto commissariato delle nazioni unite e dal Consiglio italiano dei rifugiati. Quindi un gruppo di europarlamentari aveva presentato una risoluzione che il 15 aprile del 2005 era stata approvata. Una risoluzione di condanna. «Il Parlamento europeo - c’era scritto - ritiene che le espulsioni collettive di migranti verso la Libia costituiscano una violazione del principio di non espulsione e che le autorità italiane siano venute meno ai loro obblighi internazionali omettendo di assicurarsi che la vita delle persone espulse non fosse minacciata nei loro paesi d’origine».
Il metodo adottato dal governo italiano violava non solo l’articolo 10 della Costituzione (quello che prevede il diritti d’asilo) ma anche la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati (che esige un esame caso per caso dei provvedimenti) e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (che vieta le espulsioni collettive). L’orientamente espresso dal parlamento di Strasburgo fu confermato, nel mese di maggio, dalla Corte europea che accolse un ricorso contro le espulsioni.
Il «respingimento» nel porto di Tripoli dei 227 migranti intercettati nel Canale di Sicilia ha, dal punto di vista formale, una diversa natura: i migranti non hanno messo piede nel territorio italiano ma sono stati messi nell’impossibilità di raggiungerlo. Sul piano sostanziale, tuttavia, i rilievi del 2005 valgono integralmente. La condanna dell’Italia si fondava anche sul fatto che la Libia «non offre garanzie efficaci dei diritti dei rifugiati e pratica arresti, detenzioni ed espulsioni arbitrari». La risoluzione inoltre sottolineava le «deplorevoli» condizioni di vita dei reclusi nei campi libici. Dei lager dove i prigionieri vengono spesso sottoposti a violenze. Sorte toccata anche a molti degli espulsi dall’Italia.
L’intervento dell’Europa nel 2005 era stato accolto con grande soddisfazione dalle associazioni umanitarie. La speranza era che il forte richiamo al dovere di rispettare le norme internazionali avrebbe spinto il governo italiano a interrompere le espulsioni sommarie. Nessuno, allora, poteva immaginare che il metodo condannato dall’Europa sarebbe diventato la regola.
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