lunedì 18 maggio 2009
Giù le mani da mio fratello!
Resto molto turbato dalla consegna delle barche di migranti alla Libia. Caulonia è paese dell’accoglienza e questa esperienza mi ha fatto vedere dal vivo cosa significa il dramma dei ‘clandestini’. Ho sentito, dalla voce delle ragazze e dai giovani che fuggivano dalla violenza e dalla fame, cosa si intende col temine prigionieri in Libia: torture, stupri, fame, morte. La Libia non ha sottoscritto gli accordi internazionali e sfugge ad ogni controllo umanitario e dell’ONU. Nessuno, se non chi vi è passato, sa delle tragedie che si consumano nelle carcere di Gheddafi. Tuttavia non intendo affatto toccare le corde del sentimento anche se sono consapevole che la politica senza valori profondi di solidarietà è una campana senza battaglio, scade nella mera gestione del potere, si traduce in una navigazione a vista senza mete da raggiungere. Io voglio dare invece una lettura politica alla decisione del governo di imporre ai migranti una carcerazione preventiva fino a sei mesi, o peggio ancora il rimpatrio barbaro e coatto consegnando le vittime ai carnefici. Il colonialismo ha devastato l’Africa, come uomo e come europeo mi sento in qualche modo responsabile quantomeno in linea storica. Le ragazze che sono arrivate a Caulonia dalla Nigeria hanno una età intorno a venti anni, e ognuna di loro ha esperienze drammatiche alle spalle. Sono delinquenti o esseri umani che implorano aiuto? Possiamo noi essere insensibili alla loro tragedia? Vorrei ricordare a coloro che hanno memoria corta: dai nostri paesi un secolo fa partivano migliaia di ìclandestini’. Ricordo i racconti del cordaro partito da Gioiosa (morto a Caulonia) e, lasciato su una spiaggia deserta della Louisiana con solo un sacco di corde da vendere a improbabili compratori. So della vicenda di Vincenzo Dimasi partito da Ursini, clandestino, ed ingoiato dalle acque dell’Atlantico. Furono tantissimi e venivano definiti spregiativamente negritos! Non erano solo calabresi e siciliani ma veneti, bergamaschi, emiliani, genovesi. Di loro il pubblico ministero nel processo contro Sacco e Vanzetti disse, chiedendo ed ottenendo la condanna a morte dei due anarchici italiani (innocenti): “…appartengono ad una razza inferiore, abituati al delitto, alla rapina , alla sporcizia…dobbiamo difendere la nostra civiltà da tale feccia..”. Probabilmente nel nostro patrimonio genetico c’è la ricchezza creativa del migrante che ci deriva dai coloni greci. Molto più probabilmente tutti gli uomini sono potenziali migranti “..fatti non fummo a viver come bruti ma ad imparar virtute e conoscenza”. Solo che in questo caso non si tratta di viaggiatori ma di disperati che fuggono dalle guerre e dalla morte. Ora la nostra sazietà ci fa essere insensibili, a volte, crudeli. Provo vergogna per quei barconi di disperati trascinati e che mi ricordano le parole del romanzo Addio alle armi: “c’era in quei processi una crudeltà che solo gli italiani sanno dimostrare quando non corrono alcun pericolo…” La preghiera del marinaio supplica Dio nella difesa della pace e del nostro popolo, non intacchiamo l’onore dei nostri marinai impiegandoli in questi odiosi compiti. Quali danni hanno arrecato a Caulonia, a Riace, a Stignano! Da qualche tempo abbiamo avviato le prime esperienze di tirocini formativi: alcuni puliscono le ville comunali, gli edifici pubblici, le strade con una umiltà straordinaria, altri lavorano presso meccanici, vivai, bar. Nella stragrande maggioranza sono persone dolci, sensibili, d’una straordinaria ingenuità. Non mi risulta abbiano fatto del male a nessuno, mentre hanno ricevuto più offese di quanto non si creda da civilissimi cittadini dell’Europa sazia ed ingorda. E’ difficile, molto difficile, gestire gli immigrati. Io ne so qualcosa, ma questa sarà una delle sfide cardini del nostro secolo. Certamente, non sono per l’immigrazione clandestina. Non sono per l’indulgenza nei confronti dei mercanti di uomini. E’ un problema che dobbiamo affrontare con razionalità e fermezza ma anche con grande umanità. Sono contro il razzismo e soprattutto non voglio essere complice dei massacri di giovanissime vittime sull’altare di un ordine inumano che non mi appartiene. Più che le parole vorrei che parlassero le nostre esperienze: da cosa siamo minacciati? Da queste ragazze con gli occhi che implorano una stretta di mano, o da coloro che agiscono nella notte, anche nei nostri paesi, seminando violenza, vandalismo e morte? Dai migranti o dai mafiosi? Da cosa siamo minacciati: da gruppi di disperati che ci aiutano ad aprirci al mondo ed alla umanità, oppure dalla nostra aridità, dal nostro cinismo, dalla avidità e dall’ingordigia di questo nostro mondo occidentale? Io vorrei che in ogni nostra comunità si aprisse un dibattito. Noi abbiamo bisogno di tantissime cose, ma soprattutto abbiamo bisogno di riformare il nostro stare insieme. Non ha senso amministrare un paese inseguendo le sole opere pubbliche. Un paese deve essere solidarietà, ricerca dell’uguaglianza e della pari dignità, capacità di vivere uno accanto all’altro aiutandoci, e non l’uno contro l’altro: distruggendoci. Questo è un percorso inclusivo e che parte non da teorie astratte ma dimostrando sensibilità verso chi ci sta accanto, verso chi soffre. Rotterdam antico porto d’Europa, patria di Erasmo, ha fondato il suo sviluppo sull’apertura verso il mondo. Oggi la terra dove partivano gli antichi conquistatori boeri ha un sindaco nato in Marocco. Io sogno un paese aperto al Mediterraneo ed al mondo e non chiuso in un guscio a consumarsi nei suoi veleni. Immagino che tra qualche decennio , anche nei nostri paesi, possa essere considerato normale un candidato sindaco proveniente dall’ Etiopia o dall’Iraq. Ho imparato nella mia prima infanzia che quando un uomo viene offeso non dobbiamo chiedere di chi si tratta, ma ovunque e sempre:”Giù le mani da mio fratello!”
(18.05.2009)
Ilario Ammendolia
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